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BROKERS & ITALIA

 

 

 

 

 

Fino al 1960 il mercato assicurativo italiano (molto modesto, per la cronaca) era sfruttato esclusivamente dalle compagnie d’assicurazione nazionali che, complice anche la scarsa cultura assicurativa a tutti i livelli -non solo degli utenti ma anche degli addetti ai lavori-, facevano il bello e cattivo tempo in termini di qualità: sia del prodotto/polizza che vendevano, sia nel modo di gestire i sinistri. Un modo di proporsi al mercato che oseremmo definire da terzo mondo.
    Questo era possibile, e per certi versi inevitabile, perché in una situazione di mercato squilibrato, nel senso che la domanda era praticamente assente -per ragioni di carattere sociale ed economico-, lo sviluppo si perseguiva a mezzo di un’offerta che in nessun modo teneva conto dei bisogni dei potenziali clienti. L’imperativo era: crescere, comunque!

    Ma il boom economico bussava alle porte e con esso, una nutrita schiera di società multinazionali calava in Italia, per cogliere tutte quelle opportunità che il nostro mercato era in grado di offrire.
    Ed è in questo ambito economico che cominciano ad apparire i primi brokers, perché i "nuovi invasori" annoveravano nelle loro schiere i propri assicuratori che, guarda caso, erano esclusivamente dei brokers ed in quanto tali seguivano i loro clienti ovunque.

    Gradualmente le cose cominciarono a cambiare, nonostante le resistenze opposte dalle compagnie nostrane che si trovarono a fare i conti con quella che era a tutti gli effetti una nuova realtà. Assicurare delle multinazionali era cosa sicuramente appetibile, ma un conto era trattare secondo le vecchie regole: attivando la rete commerciale avevano sempre mirato ad arrivare alla scrivania del proprietario o del direttore preposto ed il gioco era fatto; ora, invece, dovevano fare anticamera nell’ufficio del broker dell’azienda, che aveva già predisposto le varie polizze necessarie all’azienda sua cliente, con tutte quelle "clausole strane" tipo EXTENDED COVERAGE ed un premio già quantificato: prendere o lasciare! E cominciarono a prendere, senza guardare troppo per il sottile.
    Si trattava ovviamente di prestigiosi brokers di matrice prevalentemente anglosassone, che gestivano esclusivamente grandi rischi, con polizze importanti per premi e provvigioni.
    A questi primi brokers esteri si affiancarono, gradatamente nel corso degli anni fra il 1960 ed il 1980, i neonati brokers italiani che avendo imparato la lezione cominciarono contendendosi le grandi aziende nazionali; offrendo quella consulenza globale che prima di allora non avevano neppure osato sognare, trovarono un terreno estremamente ricettivo. Non poteva essere che così, considerando che:
- i brokers offrivano un servizio globale di alta qualità;
- le polizze studiate apposta per le singole esigenze erano migliori e con premi contenuti;
- non incidevano sui costi delle aziende in quanto remunerati a provvigioni dalle compagnie.

Così andarono le cose per un ventennio: grandi clienti > premi consistenti > molte provvigioni > brokers.
   Il cerchio si sarebbe potuto ritenere chiuso senonché, tutta una schiera di imprenditori, che grandi non erano, cominciarono ad interessarsi ai servizi che offrivano i brokers. Bisognava, però, superare un ostacolo. L’ostacolo era costituito dalla modesta entità dei premi che questi potenziali clienti potevano rappresentare: minori premi significava meno provvigioni, ed i costi fissi di gestione ne avrebbero risentito in modo tale da rendere antieconomico per il broker rapporti di questo tipo.

    Ma ci voleva ben altro, per frenare l’italica fantasia !
    Presero così vita i mandati di gestione assicurativa onerosi che prevedevano, in forma fissa o variabile, un costo a carico del cliente commisurato in base alla sua importanza in termini di premi.
    Dal 1980 ad oggi anche questo nuovo tipo di mandato si è andato lentamente e sistematicamente affermando, consentendo a tutti di poter usufruire, volendo, dei servizi del broker.

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